Paul Krugman evidenzia il significativo debito nazionale di 34mila miliardi di dollari nel suo ultimo articolo per il New York Times (NYT), sottolineando che, sebbene appaia scoraggiante, il contesto storico e internazionale ne diminuisce la minaccia percepita.

Paul Krugman è un rinomato economista e intellettuale pubblico americano, noto per il suo influente lavoro nell'economia internazionale e nella teoria del commercio. Nato il 28 febbraio 1953, ha conseguito il dottorato di ricerca. dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) nel 1977. I contributi accademici di Krugman, in particolare la sua analisi della geografia economica e dei modelli commerciali, gli sono valsi il Premio Nobel Memorial per le scienze economiche nel 2008.

Al di là del mondo accademico, Krugman è stato uno scrittore e commentatore prolifico, autore di numerosi libri e oltre 20 anni di colonne per il New York Times. I suoi scritti affrontano spesso questioni economiche contemporanee, sostenendo politiche progressiste e criticando le misure di austerità. Il commento chiaro e spesso provocatorio di Krugman lo ha reso una voce significativa nel discorso economico pubblico. Nel corso della sua carriera ha ricoperto prestigiosi incarichi accademici ed è stato visiting professor presso diverse università, tra cui Princeton, dove è professore emerito.

In un articolo del NYT pubblicato il 6 giugno, Krugman spiega che la cifra di 34.000 miliardi di dollari, sebbene consistente, è meno allarmante se considerata come percentuale del PIL, paragonabile ai livelli visti alla fine della seconda guerra mondiale negli Stati Uniti e molto inferiore ai livelli storici. livelli di debito in paesi come il Giappone e la Gran Bretagna.

Krugman afferma che la maggior parte delle crisi debitorie storiche hanno coinvolto paesi che si indebitavano in valute estere, rendendoli vulnerabili alle crisi di liquidità. Cita come esempi la crisi del debito latinoamericano degli anni ’80 e la crisi del debito europeo nel 2010-2012. Queste crisi sono state mitigate dalla capacità di stampare denaro per stabilizzare l’economia, un lusso di cui gli Stati Uniti godono quando prendono prestiti nella propria valuta.

Krugman riconosce un disagio generale riguardo alle proiezioni che mostrano un aumento del debito come percentuale del PIL nei prossimi 30 anni, ma sostiene che questo è gestibile. Egli osserva che, a differenza dei singoli individui, i governi non hanno bisogno di ripagare interamente il proprio debito. Il debito storico, come quello della seconda guerra mondiale, è stato effettivamente ridotto attraverso la crescita economica e l’inflazione, piuttosto che attraverso il rimborso diretto.

Krugman fa riferimento a una ricerca di Bobby Kogan e Jessica Vela del Center for American Progress, che indica che la stabilizzazione del debito come percentuale del PIL richiederebbe un aumento delle tasse o un taglio della spesa del 2,1% del PIL. Sostiene che si tratta di un aggiustamento relativamente piccolo, fattibile senza danni economici significativi, dato che gli Stati Uniti riscuotono una percentuale inferiore del PIL in tasse rispetto ad altre nazioni ricche.

Secondo Krugman, il panorama politico, in particolare le politiche repubblicane, rappresenta la vera sfida per affrontare le preoccupazioni sul debito. Sottolinea che i repubblicani spesso criticano il debito mentre sostengono politiche che esacerbano le questioni fiscali, come l’estensione dei tagli fiscali di Trump del 2017 e la riduzione del budget dell’IRS, ostacolando gli sforzi per riscuotere le tasse da individui facoltosi.

Krugman conclude che i problemi del debito americano sono più il riflesso di una disfunzione politica che dell’insostenibilità economica. Sottolinea che con la giusta volontà politica, gli Stati Uniti potrebbero facilmente affrontare le preoccupazioni sul debito, ma l’attuale clima politico, in particolare la radicalizzazione all’interno del GOP, ostacola progressi significativi. Krugman esprime maggiore preoccupazione per le implicazioni delle disfunzioni politiche sulla democrazia che per il debito nazionale stesso.

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